martedì 19 agosto 2014

Xera, la ragazza con la spada (pag. 86)

Elesya continuò a fissare il teschio per buona parte della notte, non riuscendo a prendere sonno. <<Cosa ci nascondi?>> pensò poco prima di chiudere gli occhi e arrendersi alla stanchezza. Quando li riaprì, non era più nella stanza della taverna e di Xera non vi era alcuna traccia. Il suo corpo giaceva su di un prato candido, ammantato da un’erbetta perlacea che baluginava se sfiorata dalla luce. Istintivamente la giovane maga alzò il capo, sperando forse di potersi orientare scrutando il cielo, ma così come la terra, anche quest’ultimo si tingeva di un pallido color bianco, quasi fosse avvolto da un sottile strato di nebbia. Benché fosse luminoso, non riuscì a scorgere né il primo né il secondo sole. <<Dove mi trovo?>> disse tra sé e sé. 

Nonostante avesse pronunciato quella frase solo nella sua mente, l’eco dei suoi pensieri risuonò vibrando nell’aria e si propagò a macchia d’olio per tutto quell’ambiente sconfinato. Una volta in piedi, Elesya mosse qualche passo prima in una direzione e poi nel suo esatto opposto, ma quel luogo era sempre identico, quasi il suo spostarsi fosse solo una mera illusione. Dopo solo pochi minuti, la ragazza iniziò a provare uno strano senso d’oppressione che le sembrò paradossale dinanzi a un luogo che pareva estendersi all’infinito. Eppure quella staticità le diede la sensazione di essere in trappola e nel momento in cui non riuscì più a sopportare la gabbia invisibile che pendeva sul suo capo, iniziò a correre senza meta e senza destinazione. I polmoni ardevano e a stento riuscì a respirare. Le sembrò di aver corso per ore seppur la sua mente la smentisse. <<Voglio tornare a casa!>> pensò e ancora una volta i pensieri divennero suono e il suono si fece eco. Quando infine l’eco si placò, Elesya cominciò a tremare infreddolita. 

Il cielo si tinse improvvisamente di nero e l’erba perlacea divenne scura come l’ebano, cristallizzandosi  a causa della bassa temperatura. Ogni singolo stelo divenne più aguzzo di una lama e lentamente ferirono il corpo candido della fanciulla. Elesya però era troppo infreddolita per badare al dolore, essendo le sue gambe assopite poiché sconfitte dal gelo. In preda all’ansia la ragazza urlò ma stranamente dalla sua bocca non emerse alcun suono, solo un lungo sospiro che si fece vento e poi nebbia trasparente. Elesya si tocco la gola con la mano livida e successivamente riprovò a parlare ma l’esito di tutti i suoi tentativi fu il medesimo. Infine si sfiorò le labbra e tremante, iniziò a sudare freddo. Per quanto provasse a muoverle, queste erano sigillate, ricucite minuziosamente da un sottile filo che s’insinuava da un labbro all’altro simile alle spire di un serpente. Quando prese coscienza del sigillo, la maga fu trafitta dal dolore che si riversò addosso come un secchio d’acqua bollente. 
Per prime le labbra sembrarono andare a fuoco, poi le mani intorpidite dal freddo e infine le gambe ferite e insanguinate dalle lame di ghiaccio che sporgevano dal suolo. Con gli occhi pieni di lacrime Elesya si strinse nelle spalle, cercando di comprendere in che modo fosse arrivata in quel luogo e infine al culmine del dolore, sentì qualcosa di freddo e affilato colpirla alla base del collo di cui però scorse solo la punta di un bastone, giacché la sua testa era rotolata via dal resto del corpo.

Elesya si risvegliò madida di sudore, urlando disperatamente. Strinse con forza il lenzuolo che zuppo anch’esso, le ricopriva il corpo solo per metà. Anche Xera si svegliò bruscamente e scalza, accorse al capezzale dell’amica <<Ely calmati, è stato solo un brutto sogno>> le disse rassicurandola. Quando la cinse tra le braccia, notò che la maga era tutta sudata nonostante il suo corpo fosse freddo come la neve. Dovette tuttavia separarsi da lei dopo alcuni minuti, poiché l’eco delle sue urla aveva allarmato quasi tutta la taverna e ben presto Aldaria e Reilhan iniziarono a bussare insistentemente alla loro porta. La guerriera si affrettò ad aprire, rincuorando tutti circa le condizioni della ragazza. <<Deve aver avuto un brutto incubo!>> si giustificò con la donna che rassicurata, andò a informare il resto dei suoi ospiti. <<Le farò preparare un infuso di rose>> affermò Aldaria poco prima di congedarsi tuttavia Xera le suggerì di avvalersi di un altro fiore, perché delle rose ne avevano avuto abbastanza. 

La donna volle accontentarla e sorridendo, si allontanò. Reilhan invece preferì controllare personalmente le condizioni di Elesya e raggiungendo il suo letto, le sedette accanto prendendole la testa tra le mani. <<Riesci a ricordare il tuo sogno?>> le domandò dolcemente scostandole una ciocca di capelli dagli occhi ed Elesya iniziò a narrare loro quanto ancora non aveva dimenticato. Xera osservò con quanta cura Reilhan sfiorasse l’amica e per alcuni istanti le sembrò di vedere le dita del curatore illuminarsi appena. Man mano che le spiegazioni giunsero al termine, Elesya riacquistò il suo solito colorito e lentamente – accompagnata dalle mani del Novizio – tornò a riposare. Reilhan le rimboccò le coperte e con un pezzo di stoffa, tamponò la fronte imperlata di sudore. La guerriera invece preferì farsi da parte, fissando la scena dall’altro lato della stanza. Si rese conto di quanto il rapporto dei due ragazzi fosse cambiato e di come si fosse trasformato in una profonda amicizia, dovuto forse alla loro costante vicinanza. Xera si sentì improvvisamente tagliata fuori e quella sensazione si tramutò presto in rabbia irrazionale. La voce di Reilhan però la riportò alla realtà, allontanando quegli strani pensieri che non riuscì a spiegarsi. 

<<Temo che il racconto di Alamar e la presenza del teschio, abbiano influenzato i sogni di Elesya. Sarà meglio che per un po’ non debba occuparsi dell’artefatto>> suggerì il curatore bisbigliando per non destare l’amica ma Xera non rispose. Subito afferrò il teschio e avvolgendolo in un vecchio lembo di stoffa, lo prese in consegna. <<Farò io il primo turno; meglio allontanarlo dalla vostra stanza per oggi>> aggiunse aprendo l’uscio senza far rumore. Quando lo richiuse alle spalle, Xera si staccò dalla parete e presto tornò a sdraiarsi sul suo letto che intanto si era fatto freddo. Nonostante mancasse ancora molto all’alba, la stanchezza si era già dissolta e i suoi occhi non sembrarono accettare l’idea di doversi richiudere. Il letto che occupava era proprio accanto a una piccola finestra dalla quale si riusciva a vedere una porzione di cielo notturno. Non vi erano molte stelle a farle compagnia poiché delle nubi minacciose iniziarono a ricoprire il villaggio. Dopo alcuni minuti, infatti, Xera sentì un forte boato infrangere la quiete notturna e dei lampi bianchi, rapidi e silenziosi, illuminarono a intermittenza l'angusta stanza. 

Subito giunse la pioggia e presto il vetro della finestra fu puntellato da piccole gocce che man mano divennero sempre più grandi. I tuoni risuonarono in tutta la locanda e Xera con le braccia sotto la testa, fissò i sinuosi rivoli d'acqua che scivolavano sui vetri. Gradualmente i suoi occhi divennero pesanti e presto si addormentò. Giunse l’alba e la luce pallida del primo sole illuminò le gocce aggrappate alla finestra, creando suggestivi motivi sui muri della stanza. Xera si svegliò nella stessa posizione con le braccia tutte indolenzite. Senza far rumore, si rivestì e in pochi minuti si ritrovò davanti all’ingresso della locanda. Poco prima di uscire però, Aldaria la fermò. <<Già in piedi?>> disse bisbigliando, volendo proteggere il riposo dei suoi ospiti. Xera si voltò sobbalzando, essendo stata colta alla sprovvista e abbozzando un sorriso, ricambiò il saluto <<Credo di aver riposato abbastanza>> spiegò. 

<<Ho sentito che hai commissionato un lavoro impegnativo al vecchio Kowal>> riferì la donna e Xera si meravigliò del fatto che anche Aldaria ne fosse a conoscenza. <<Non stupirti bambina; qui a Kodur tutti sanno tutto e nessuno sa niente!>> asserì invitandola a seguirla nelle cucine. <<Ho già sentito una frase simile in passato>> disse Xera camminando dietro la locandiera e subito si ritrovò in una stanza gremita di gente che però si muoveva in assoluto silenzio. Tutti erano vestiti rigorosamente di bianco con ampi grembiuli che pendevano fino alle caviglie. Alcuni indossavano inoltre dei cappelli molto ampi, anch’essi candidi che li differenziavano da quelli che al contrario proteggevano il capo con un semplice fazzoletto bianco. Quando videro Aldaria entrare nella stanza, tutti le sorrisero e con un gesto di saluto, alzarono le mani muovendole in aria, per poi ritornare a fare quanto avevano interrotto. Xera non riuscì a comprendere il motivo di quello strano comportamento e Aldaria si apprestò a spiegarle che quando aveva circa la sua età, nacque sua sorella minore incapace sia di parlare sia d'udire. 

Poiché la sua famiglia era molto modesta, pensarono di trasferirla presso qualche lontano parente affinché si occupassero di lei ma Aldaria - che l’amava immensamente - si oppose, assumendosi l'onere di curarla e vegliarla. Ideò quindi un linguaggio particolare che insegnò alla bambina, costituito da gesti e movenze che le permisero di comunicare con la sorella. Quando ereditò la locanda di sua zia e dovette trasferirsi a Kodur, Aldaria portò con sé la fanciulla permettendole di lavorare in cucina per la quale aveva una forte propensione. In seguito assunse altre persone alle quali insegnò il linguaggio speciale e poiché la sorella non era più la sola con quelle mancanze, tutti iniziarono ad adottare le bizzarre movenze per comunicare senza far del baccano che avrebbe potuto infastidire gli ospiti della locanda. 

Xera osservò i cuochi con più attenzione e tra loro le parve di scorgere una figura minuta che velocemente si spostava da un lato all’altro della cucina, sfoggiando grande maestria nel suo lavoro. Il suo sorriso era perfettamente identico a quello di Aldaria e per la guerriera non fu difficile capire chi fosse. <<Sarà meglio concedere a Kowal qualche altra ora di riposo, non credi?>> le disse a bassa voce, porgendole un piattino con una succulenta fetta di torta. Xera non protestò e mangiando con gusto il dolce, preferì consumare la sua colazione in cucina, osservando la strana danza silenziosa dei cuochi della locanda.

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