martedì 24 giugno 2014

Xera, la ragazza con la spada (pag. 74)

Con il dorso dello scudo deviò l’attacco con successo, poi, spostando il peso del corpo sulla gamba sinistra, riuscì a imprimere abbastanza forza al suo scatto da permetterle di raggiungere la compagna svenuta. Quando però arrivò a pochi passi da lei, il corpo di Elesya fu avvolto da radici robuste che sollevarono la ragazza, ancora priva di sensi. Goreha rise dinanzi alla frustrazione di Xera. << È inutile anche solo provarci, non sei in grado di sconfiggermi>> dichiarò a gran voce. Senza troppa difficoltà tuttavia, Xera evitò una serie di attacchi frontali, sferrati dai lunghi rovi della stessa Goreha che si erano fusi con il resto delle radici. Nonostante la barriera che la separava dal Novizio, fosse spessa e robusta, Xera fu ancora in grado di scorgere il vero aspetto del mostro che lo teneva prigioniero, sebbene Reilhan ne fosse inconsapevole. 

<<Com’è possibile scambiare quella cosa, per una donna attraente?>> pensò, osservando incredula il suo amico. Xera posò gli occhi sulla regina, cercando in lei possibili punti deboli ma il movimento imprevedibile dei suoi rovi, le concesse solo rapidi sguardi e per giunta superficiali. Tra due attacchi laterali, infatti, che parò con scudo e avambraccio, notò che il mostro aveva le fattezze di una rosa nera dalle notevoli dimensioni. Quando invece si ritrovò a retrocedere per liberarsi dalla presa di una delle sue radici, vide che dal cuore della rosa spuntava la testa di un rettile, simile a un serpente, ma solcato da venature porpora che trasudavano veleno. Mentre osservava sconcertata la lunga coda della regina, spuntare dal retro dei petali che la avvolgevano, fu colta alla sprovvista da uno dei suoi rovi che le colpì la mascella, offuscandole la vista per il dolore. A fatica riuscì a mettersi in ginocchio e disgustata, sputò il sangue che le aveva riempito la bocca. 

Non ebbe tuttavia il tempo di riprendersi che un nuovo attacco giunse dall'alto, ma le bastò rotolare su se stessa per evitare le lunghe spine, che sporgevano minacciose. Durante l’impatto non aveva perso il suo prezioso scudo e con la difesa alta, cercò il coltello che invece era volato via. Bastarono pochi secondi per individuarlo e un istante per rientrarne in possesso, data la grande velocità della guerriera. Scrutando ancora una volta il suo avversario, si rese conto che la parte inferiore del suo corpo era costituita da sole radici e rovi, gremiti di piccole spine e foglie dai bordi seghettati. Non aveva né braccia né gambe, o almeno così immaginò, poiché i grandi petali nascondevano buona parte del suo corpo. Ed era proprio con quei rovi che stringeva a sé il malcapitato Novizio, ai cui occhi dovevano sembrare le braccia di una donna seducente. 


Goreha però si stancò ben presto di quel tira e molla, che dal suo punto di vista “era diventato un gioco noioso”, così volendo prolungare l’agonia della sua avversaria, decise di confinarla il più lontano possibile dalla stanza del trono, sperando infine di sottometterla, una volta catturata. Dei sottili steli avvolsero le caviglie di Xera, e nonostante la sua forza superasse di gran lunga quella di un comune essere umano, non fu in grado di strapparle né a mani nude né con l’ausilio del coltello. Alla regina invece bastò un lieve movimento della coda, affinché gli steli iniziassero a spingere la guerriera fino a farla sprofondare nel pavimento, divenuto stranamente soffice come la terra. Quando ormai il suolo arrivò a toccarle il mento, Xera guardò un’ultima volta i suoi due amici, poi chiudendo gli occhi, accumulò una discreta riserva d’aria e senza opporre resistenza, si fece assorbire completamente.

Non capì per quanto tempo era riuscita a trattenere il fiato, l’unica cosa che ricordava era il volto di Reilhan ed Elesya. Benché avesse gli occhi spalancati, il luogo le sembrò buio, tetro e quasi claustrofobico. Per prima cosa, con le mani, ispezionò il suo corpo cercando di scorgere eventuali ferite, ma lividi a parte, era in buona salute. Notò invece che lo scudo si era ritratto, tornando così ad assumere l’aspetto di un comune anello. Del coltello tuttavia, non vi era alcuna traccia e sebbene avesse provato a cercarlo con i piedi, ci rinunciò, convinta che fosse ormai andato perduto. Improvvisamente qualcosa le sfiorò il viso e scattando, a causa della forte tensione accumulata, si ritrovò a schiaffeggiare il suo stesso volto. Solo dopo capì che una ciocca dei suoi capelli, si era separata dal resto della treccia e ondeggiando le aveva sfiorato una guancia. 

Xera sorrise, massaggiandosi il volto accaldato, poi però, con l’altra mano, colpì il resto del viso come a voler destare il suo corpo dal torpore della paura. Con la faccia in fiamme riuscì nuovamente a concentrarsi e non potendo contare sulla vista, dovette affidarsi ai restanti sensi. Xera sistemò la ciocca dietro l’orecchio ma inutilmente, perché dopo un po’ tornò a solleticarle il viso. Un alito di vento, che proveniva dalla sua sinistra, attirò così la sua attenzione e non avendo in serbo un piano migliore, decise di seguire la corrente, sperando infine di trovare una via d’uscita. Più strada percorreva e più la corrente s’intensificava, fino a quando un lieve baluginare si intravide in lontananza. Non poteva trattarsi della luce del sole, poiché troppo debole persino per una candela, inoltre la tonalità azzurrina rendeva quell'ambiente ancora più spettrale. 

Con le mani protese in avanti, onde evitare spiacevoli incidenti, riuscì a raggiungere un muro che dal tatto le parve umido e freddo, mentre a tratti percepì del muschio tra le fessure. La guerriera suppose quindi di essere in un qualche tipo di sotterraneo, di cui però non scorgeva altro. Raggiunta la fonte di luce, superò una profonda breccia nel muro, facendo attenzione a non scivolare a causa dei detriti e dell’umidità, che rendeva il tutto viscido e poco sicuro. Si ritrovò così all'ingresso di una specie di corridoio, che dall'aspetto scambiò per una caverna. Sui muri e sui lati del pavimento, la giovane leva intravide dei funghi che emettevano la stessa luce avvistata in precedenza. Pensando quindi a come utilizzarli, Xera iniziò a coglierli, formando infine un discreto mazzolino che fissò all'estremità di un vecchio bastone, trovato tra i detriti della breccia. Con una torcia improvvisata la guerriera poté finalmente proseguire il cammino, sebbene la luce non fosse ancora sufficiente.

Di tanto in tanto percepì un flebile alito di vento, che portava con sé l’acre odore della muffa, emanato da ogni parte della caverna. <<Che profumo ci si può aspettare da dei funghi!>> pensò. L’ambiente però improvvisamente si restrinse, al punto da costringere la ragazza ad accucciarsi per avanzare e quando infine si ritrovò in uno spazio troppo angusto per il suo corpo, iniziò a guardarsi intorno sporgendo il viso in avanti. Notò così che oltre la piccola fessura dinanzi a lei, vi era un atrio molto spazioso. Senza pensarci allora, colpì la parete con tutta la sua forza, provocando una breccia che le permise di accedere alla nuova caverna. Non le erano mai piaciuti gli spazi ristretti e prima di continuare la sua ricerca, decise di riprendere fiato sdraiandosi a terra. Il soffitto di quella caverna era molto alto, tanto che le stalattiti si scorgevano a malapena. 

La freschezza del terreno ritemprò il suo corpo e non lontano scoprì persino una pozza d’acqua limpida, che usò per sciacquarsi il viso ancora intriso del suo sangue. Dalla borraccia invece bevve qualche sorso che poi sputò per cancellare il sapore ferroso che la ripugnava. Avrebbe potuto approfittare della pozzanghera, ma diffidò dei funghi che crescevano nelle vicinanze. Nella bisaccia, che stranamente non aveva subito alcun danno, poiché protetta dal mantello, afferrò delle radici medicamentose e masticandole tra i denti, avvertì il dolore della mascella affievolirsi. Servendosi nuovamente della torcia di funghi, illuminò a tratti l’ambiente circostante, notando tuttavia che dinanzi a lei vi era ben più di un’uscita. <<Quale sarà quella giusta?>> disse ad alta voce e come prima, cercò di far ricorso a tutti i suoi sensi, sperando potessero aiutarla ancora. 

Questa volta però non fu il vento a guidarla, ma il rumore ovattato di qualcosa che striscia. Il suono si fece man mano più chiaro, costringendo Xera a indietreggiare fino al centro della caverna. Dal corridoio sulla destra, avvolte dalle tenebre, scorse due piccole fessure color dell’ambra che la fissavano e a queste, in breve tempo, se ne aggiunsero altre. Xera evocò Divaahr, preoccupata a causa di quegli strani esseri che lentamente fuoriuscirono dal corridoio, distanziandola infine di pochi passi. Poté così illuminarli con la luce del bastone e scorgerne finalmente l’aspetto. Delle lucertole spaventose, grandi come gatti, la fissavano facendo sibilare la lingua biforcuta. I loro corpi inoltre erano disseminati di boccioli di rosa, anch’essi azzurri, germogliati tra le venature che solcavano la loro pelle e che li rendevano del tutto simili alla Regina Velenosa. Infine all’estremità della loro coda, vi era una spina aguzza che la ragazza ipotizzò fosse avvelenata. Le lucertole pian piano la circondarono e Xera, armata con il solo scudo, si preparò a combattere.

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